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MARCELLO CHIRULLI: analisi del fenomeno calcio

 

MARCELLO CHIRULLI: analisi del fenomeno calcio

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Marcello ci invia un approfondimento sul tema della violenza nel mondo del calcio, argomento già trattato dal CSP (centro studi sicurezza pubblica) di Brescia, centro con il quale collabora in funzione del proprio ruolo alle dipendenze del Ministero degli Interni - Ufficio Polizia di Stato di Como. Un ringraziamento e un in bocca al lupo.
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ANALISI DEL FENOMENO CALCIO: SI CAMBIA DAVVERO?
L’obbiettivo di questo lavoro è di poter capire i meccanismi e le motivazioni di un comportamento aggressivo, analizzando la violenza negli stadi e delineando i caratteri peculiari di questa forma di aggressività di massa, poiché il binomio sport violenza è senza dubbio uno dei campi d’indagine più gettonato dalle cronache, destando attenzione delle scienze sociali e vista la vastità del fenomeno, coinvolge in prima persona esponenti dei governi cittadini e dell’ordine Pubblico.
Le masse cercano salvezza ( una salvezza dell’io nell’essere o sentirsi utili o parte di un qualcosa o di un progetto), spesso in modo indefinito, anche senza rendersene conto.
L’eccitazione come fenomeno di massa legittimo è quasi scomparsa dalla quotidianità occidentale, tranne che in momenti e luoghi determinati, propri di quei riti collettivi, religiosi, festivi, ludici (sport).
Lo sport, risulta essere un fenomeno che socialmente si spiega come sfogo dell’aggressività, in una forma di violenza mimetica e di decontrollo controllato, nonché come forma di sviluppo di un eccitamento piacevole e positivo.
Esso rappresenta la sfogo degli istinti primordiali dell’uomo, nel percorso di civilizzazione basato sulla repressione cosciente degli impulsi e delle passioni.
Secondo Alessandro Del Lago (sociologo), il calcio è un rito, ovvero una forma di attività collettiva che condensa e trasfigura significati sociali profondi di una battaglia, ricordando quanto di conflittuale sopravvive nella nostra cultura, apparentemente pacificata, ma in realtà gravida di pulsioni guerresche.
Il calcio, come diverse altre discipline sportive di squadra, risulta essere la celebrazione rituale di una battaglia, dove i giocatori e i tifosi, non si combattono (di solito) realmente, ma mettono in scena una recita collettiva, dando vita ad una metafora sociale fondamentale per dissipare l’aggressività congenita dell’essere umano.
Ogni domenica ( e non solo visti gli incontri infrasettimanali), centinaia di migliaia d’individui, vedono nel calcio la possibilità di manifestare la propria emotività, trasformandolo da sport in una occasione sociale totale sviluppata intorno al gioco.
Il calcio come evento sociale, interessa le società sportive che investono ingenti capitali per un ritorno economico, i giocatori che acquistano fama e soldi, gli appassionati che così dispongono di un mito ideale e l’opinione pubblica che soddisfa mediante la ricerca d’immagini, attività discorsive, realtà da mediare, amplificare, elaborare, inventare, l’interesse alla socializzazione emotiva.
Dal punto di vista degli spettatori, l’interesse per il calcio come investimento emotivo è un’occasione unica di partecipare ad un evento eccezionale pubblico.
Il calcio, come fenomeno sociale globale, rappresenta per i tifosi e soprattutto per quelli organizzati, una straordinaria occasione di visibilità.
Il fatto che uno striscione riuscito sia visibile in tutto lo stadio e ripreso dai media, che uno slogan o coro sia adottato da più fazioni di tifo organizzato, offrono ricompense simboliche e prestigio agli autori che, mirano al riconoscimento e rispetto sul proprio territorio, dimostrandosi più forti dei tifosi avversari e rafforzando il senso d’identità e rappresentanza del gruppo.
L’elemento della contrapposizione è d’importanza vitale per rafforzare l’identificazione di gruppo ed il senso d’appartenenza.
Quando questi gruppi in conflitto tra loro si incontrano, si realizza lo scenario combattivo di una guerra, dando vita ad aggressioni, reazioni e vendette, sviluppandosi lunghe faide che sopravvivono all’avvicendamento degli individui che compongono i gruppi.

MOVIMENTO ULTRA’ E HOOLIGANS

I movimenti ultrà e hooligans , come tifoserie organizzate, nascono a cavallo della fine degli anni 60 e l’inizio dei 70 negli stadi dei due Paesi
Gli hooligans provengono dagli strati sociali più disagiati (classe operaia bassa), mentre gli ultrà sono interclassisti, i primi condividono esperienze sociali comuni, in una condizione economica disagiata, con l’obbiettivo principale della violenza fisica, mentre gli ultrà nascono anche dal bisogno giovanile di tutti i ceti di crearsi una propria cultura definita “d’opposizione” al tradizionalismo della società Italiana.
Sono proprio le caratteristiche dei gruppi politici estremisti, quali il senso di coesione e di cameratismo, la sfida all’autorità costituita, il senso di conflittualità, a dare corpo ai gruppi ultrà.
Le attività del gruppo vengono finanziate spesso da collette o autotassazioni (oltre sospetti finanziamenti dai rispettivi club ), ed ogni membro ha dei compiti precisi da eseguire, sia preparatori che volti all’azione.
I media sportivi italiani descrivono la violenza solo come un male della società con cui il calcio non ha niente a che fare, è un lavarsene le mani e c’è molta ipocrisia in questo atteggiamento, si chiede sempre alla società, allo Stato, alle Forze dell’Ordine di risolvere il problema.
La ricerca dell’adolescente ultrà, rappresenta il suo bisogno di essere riconosciuto e confermato, dimostrando al mondo la propria esistenza, ed essere per questo, parte attiva di qualcosa.
L’identità è un passaporto e conquistarne una consente di esplorare il mondo del gruppo, di esservi ammesso e il senso di appartenenza si svilupperà dietro un simbolo od uno striscione, mentre la gratificazione individuale, sarà fornita dal riconoscimento che il gruppo darà al soggetto, distintosi nelle attività richieste.
Per Vittorino Andreoli, lo stadio diventa un laboratorio di magnetizzazione, dove si contrappongono due blocchi e dove ogni individuo, prende delle decisioni che autonomamente non prenderebbe mai, poiché condizionato dal fenomeno massa, entro il quale si è coinvolti in un più vasto flusso di intenzioni contrapposte.
Importanza vitale di questo processo è la cultura del nemico, integrata nell’antinomia bene-male, scattando quei meccanismi comuni che tendono ad eliminarlo o comunque sconfiggerlo.
Sempre Andreoli afferma “quando guardo a questi giovani, vedo la società che li ha partoriti e allevati e penso a quando è violenta”, “occorre trovare lo spazio perché i giovani possano essere protagonisti entro la legalità e non solo nella emarginazione, spettandogli un ruolo nella gestione del vasto panorama sociale, per impedire che lo esercitino entro gruppi marginali”.

CHE FARE: CONSIGLI DI UN ESPERTO

Nonostante ripetuti inviti alla non violenza in occasione di incontri sportivi, ciò che non doveva più succedere, specialmente per una partita di calcio, invece è accaduto (Catania ed Arezzo).
Finiti gli anni belli della mentalità di quando ultras voleva dire solo sostenere la squadra e vivere per il gruppo.
La dice lunga il Dr. Maurizio Marinelli, direttore del centro studi sicurezza pubblica di Brescia. Oggi insegna alla scuola di Polizia di Brescia, scrive libri, tiene conferenze sulla sicurezza negli stadi e viaggia per l’Europa per capire come fermare il fenomeno della violenza negli stadi.
Una delle idee migliori che hanno avuto in Ingliterra è stata quella di stabilire un contatto tra tifosi e Polizia, spiega Marinelli. Sul finire dello scorso decennio sono iniziati i primi esperimenti, anche in Italia, così quasi sempre sono gli stessi agenti a seguire la squadra in trasferta, in questo modo, a poco a poco, si creano rapporti di confidenza tra tifosi e poliziotti, e quindi capire la mentalità degli ultrà, prevenendo con successo ogni forma di violenza. Bisogna investire, sulla famiglia, sui genitori, spesso accompagnatori dei figli allo stadio, protagonisti di insulti che spesso degenerano in rissa. Questa maleducazione e questa aggressività creano un clima troppo teso su molti campi. Educare i ragazzi allo sport a cominciare dalle scuole. Serve una vera e propria sinergia tra mondo calcistico, la scuola, le famiglie, gli oratori, cioè tutte la agenzie educative. Teniamo presente che gran parte dei violenti, sono ragazzi che hanno perso i loro punti di riferimento e pensano che esistere, nel mondo di oggi, significhi imporsi violentemente.
Preoccupante anche il fenomeno delle aggressioni a “giocatori e dirigenti,”spesso la tifoseria viene utilizzata per fare questo genere di pressione. Il business dello spaccio di droga, soprattutto cocaina, fumo e ecstasy ha preso piede in questi anni nelle curve, i capi ultrà a volte ricattano i dirigenti delle società e si fanno consegnare centinaia di biglietti omaggio poi rivenduti prima della partita, tra gli affari dei capi ultrà c’è anche il merchandising legato all’abbigliamento con il simbolo del gruppo, un business milionario che dilaga nelle curve.
Non va sottovalutato il ricambio generazionale nelle curve. Molti dei vecchi si allontanano, altri sono diffidati. I giovani o comunque i nuovi vogliono imporre la loro leadership e non accettano il codice deontologico di chi li ha preceduti. Il Daspo come legge non basta, sanno come aggirarla, un tifoso diffidato emigra e collabora con altre tifoserie gemellate. Si chiude il girone d’andata, i primi risultati deludono le attese e spingono i tifosi a non riconoscersi più nella società, nella dirigenza e li spinge alla violenza. Gli scontri avvengono sempre all’esterno, nei dintorni dello stadio oppure nelle stazioni ferroviarie, autogrill, dove le tifoserie si danno appuntamento per lo scontro e non all’interno dove ci sono telecamere.
Gruppi di ultrà riconosciuti eticamente si sciolgono e si organizzano in gruppi di quartiere quasi ad imitare il “poliziotto di quartiere”.
Un paese che investe sempre meno nella sicurezza, alimenta queste “associazioni di tipo ultrà”.
Bisogna privatizzare gli stadi, stadi di proprietà più sicuri e con un maggior numero di telecamere, far partecipare le società alle spese per la sicurezza pubblica e renderli responsabili di quel che vi accade. Introduciamo una pesante cauzione, far pagare multe salatissime per uscire dal carcere, come in Ingliterra, e rinvestire questi soldi in sicurezza.
Le forze dell’ordine presenti allo stadio rappresentano lo Stato, le Istituzioni, quindi, emerge il disagio, l’odio di questi gruppi verso lo Stato.
In Ingliterra guai a sfiorare un poliziotto in servizio, quindi leggi più severe, immediatezza e certezza della pena.
Bisogna far emergere non solo gli aspetti negativi, del dopo calcio, ma anche quelli positivi, come quello accaduto a Torino, con il tifoso che ha lanciato un petardo ed è stato subito individuato e segnalato agli steward. Occorre la collaborazione di tutti.
Le polemiche sempre più accese sugli arbitri, i fallacci, le reti negate, accendono il clima, ben vengano quindi telecamere e moviola. Non è vero che la polizia non è ben addestrata a questi eventi, perché la polizia italiana è la migliore del mondo, per le diverse ragioni, che vanno dal giusto bilanciamento tra le cosiddette tecniche di pedinamento e le nuove tecnologie, poliziotti dotati d’intuito ed infine quello del rapporto con il cittadino.
Dopo i fatti di Catania e Arezzo, dopo i provvedimenti emanati dal Governo, si rende necessario un intervento istituzionale-educativo-formativo convolgendo le istituzioni primarie, la famiglia, la scuola, gli oratori, per quello che possono fare per contrastare il fenomeno della violenza negli stadi.
La scuola e la famiglia possono giocare un ruolo importante ma soprattutto possono collaborare fattivamente con la Polizia per controllare meglio i giovani che frequentano la stadio ed educarli sempre più alla legalità e ai valori dello sport.

In sintesi il contenuto del Decreto legge varato, con le norme antiviolenza:
• Partite a porte chiuse;
• Stop a vendita biglietti in blocco a squadre ospiti;
• DASPO preventivo fino a 7 anni;
• Flagranza di arresto entro 48 ore;
• Giudizio direttissimo;
• Spezzare legame società-tifosi;
• Aggravanti per i delitti di violenza e resistenza a Polizia.

CONCLUSIONI

Sperando che queste ultime norme diano i loro positivi risultati, personalmente credo che bisogna risalire in origine a questo scatenarsi di violenze, penso che un evento calcistico sia soltanto un pretesto da parte dei giovani per dare vita alle guerriglie che negli ultimi tempi riescono, specie fuori dagli stadi o nelle vicinanze, a catturare l’interesse dei media.
Il protagonismo di essere citati in trasmissioni televisive, rivedersi che si sfascia vetture o si infrange vetrine, per loro è motivo di vanto, di coraggio nel gruppo.
I genitori spesso sono all’oscuro, credono che non sono i propri figli a commettere tutto ciò e attribuiscono agli altri queste responsabilità.
Queste violenze che in passato non si registravano così irruente, sono le conseguenze del mondo in cui viviamo, i giovani sono annoiati, hanno bisogno di nuove emozioni per sentirsi vivi.
I sassi dai cavalcavia, le gare di moto o di auto di grossa cilindrata per le vie della città, essere bulli, sono le loro valvole di sfogo, a questo sistema di società che sembrano disinteressati.
Una partita di calcio è per questi gruppi non definiti tifosi, (il tifoso va allo stadio a vedere i suoi beniamini) il trampolino di lancio per passare una domenica a sfasciare tutto e dare addosso alle forze dell’ordine, il nemico comune.
Perché qualche anno fa non avvenissero cose del genere? Sono i genitori che non riescono a impartire ai loro figli quella dottrina deontologica dello sport e dello stare in società? colpa dei media? le fasce orarie dei programmi sono ben studiate? Ecc..
Diversi sono gli interrogativi che mi pongo, francamente è molto difficile stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, certo in Inghilterra questo fenomeno negativo è stato eliminato, vuoi per delle normative ferree, vuoi perché forse è passato di moda il fenomeno degli hooligans, vuoi che si è acquisita una certa cultura allo sport e alla legalità, i giovani inglesi sembrano aver preso coscienza che andare allo stadio ubriachi o drogati per far solo a botte non portava a nessun vanto e a nessun guadagno, anzi dovevano imbattersi davanti a una giustizia che li lasciava senza vie di fuga.
Le società possono fare di più, il problema è “…se si toccano i soldi…” , ancora un volta bisogna guardare all’Ingliterra, dove i club hanno fatto un accordo, per cui gli stipendi dei giocatori non possono superare il 60% degli introiti. Ci vuole maggiore responsabilità, se le spese delle forze dell’ordine fossero addebitate alle società, queste ultime farebbero certamente qualcosa di più. Certi atteggiamenti da parte dei giocatori e allenatori, poi, dovrebbero essere sanzionati prima che della giustizia sportiva dallo stesso club, perché fomentano la violenza.
Dopo gli ultimi avvenimenti di cronaca nera, è giunto il momento che ognuno di noi deve svolgere il proprio ruolo assumendosi le proprie responsabilità, ci vuole la collaborazione di tutti, solo se si uniscono prevenzione e formazione non ci sarà più bisogno di repressione.
Sono sicuro che gran parte dei giovani amano lo sport sia praticato che non, bisogna essere ottimisti e convincerli a seguire un processo culturale e formativo, dove tutti dovranno fare la loro parte, far capire il discorso della legalità, del rispetto delle regole, del diverso e di lasciare a casa quelle cose che fanno male a loro che alla società che li circonda.
Ma per questo credo ci voglia quella “sculacciata”che una volta il genitore dava al figlio, quella sculacciata serviva a qualcosa.
Lo Stato deve agire come il genitore, fargli capire che sono presenti.
Basta con certi atteggiamenti, basta con tutte queste gomitate, con questi falli da tergo sul terreno di gioco ma dico anche basta a questi genitori che sugli spalti nelle partite di esordienti, allievi, juniores incitano alla violenza.

Marcello Chirulli


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Submitted by midiesis on Sab, 2008-01-19 11:48.

Scusa Marcello, se intervengo sull'argomento con ritardo. L'analisi fatta nella tua relazione è senza dubbio professionale, ben dettagliata e delinea concreti sbocchi per la risoluzione del problema.
Io aggiungerei un problema ed una soluzione molto più radicale riguardo il tifo e tutto ciò che ci gira intorno.
Ho smesso di tifare quando, 25 anni fa, ho capito che razionalmente non c'è motivo di farlo perché le società sportive non esprimono affatto ne una linea identificativa ne una filosofia di vita (e sportiva). Perchè tifare il Milan quando oggi ha nella sua squadra tizio e caio e domani, sempre tizio e caio vanno a giocare in un altra squadra? e casomai la squadra che "odio" di più, composta dai giocatori pinco e pallino, vendono sempre pinco e pallino al Milan? Non c'è coerenza. Dove sta la linea e la filosofia di una squadra? Il problema vero è che lo sport è fatto a livello professionistico con badget miliardari. E' vergognosa la cifra di uno stipendio di un giocatore di serie A quando la maggioranza dei lavoratori dipendenti nemmeno ce la fa ad arrivare a fine mese. E noi tifosi a starci dietro sta mandria di privilegiati dissipatori di risorse che potrebbero essere ripartite in modo equo. E' una vergona. Questo è il problema. Lo sport, quindi il calcio, dovrebbe essere fatto a livello dilettantistico con controlli severissimi su i compensi ai giocatori che non dovrebbero superare la media delle retribuzioni di noi "piccoli mortali dipendenti".
Scusa Marcello di questa mia "radicale" visione della cosa, ma queste cose mi fanno molto incazzare.
Con affetto e stima.


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