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Dolce dormire!
E’ come essere in uno stato di grazia. C’è qualcosa di più bello del sonno “del giusto”? Un morbido guanciale, un letto ortopedico (che ti fa alzare con le ossa doloranti), calde coperte e soffici piumini…insomma, tutte cose divine che ti coccolano mentre si è tra le braccia amorevoli di Morfeo.
Tutti concorderanno nell’affermare che l’unico neo del dormire è la consapevolezza inconscia che, prima o poi, urlerà la sveglia.
Ma cosa accade quando invece dell’infernale timer ad urlare è la sirena dei Vigili del Fuoco?
Tutto cominciò in una mattinata ventosa di Febbraio.
Il cielo era cupo e le nuvole minacciavano pioggia; ma non una pioggia qualunque. Si presagiva un modesto diluvio, anche perché l’aria era umida e pesante.
I due fratelli dormivano profondamente e non avevano assolutamente coscienza della tragedia che si stava consumando sopra le loro teste.
Improvvisamente una voce convulsa riportò il giovane ragazzo alla apatica realtà della veglia.
- Ijaset figghj (alzati figlio), mena (alla svelta), la cimmuner ìjhè pigghijet fueche (il comignolo del caminetto si è incendiato)!-
Questo farfugliò la madre fra le lacrime e l’infarto, avvolta dalla disperazione più totale. Poi, con scatto felino percorse i venti metri di corridoio con tali falcate e tale velocità che perfino Ben Johnson sarebbe rimasto stupito. La sessantacinquenne, in pantofole, aveva abbattuto tutti i record mondiali di salto, corsa ad ostacoli, cento metri e lancio dell’urlo.
Come un falco si gettò sulla figlia ruggendo: - Ijaset figghj, la cimmuner ìjhè pigghijet fueche! – (Per la traduzione vedi sopra).
La ragazza si svegliò di soprassalto e con gli occhi sbarrati e le ossa doloranti (per il letto ortopedico di prima) immaginò la scena agghiacciante.
Una visione apocalittica le si presentò davanti.
La casa avvolta dalle fiamme, tutte le vie di fuga bloccate dal fuoco, l’imminente esplosione delle tubature del gas e il collettivo funerale in chiesa con tanto di banda, corteo e sindaco in testa.
Spinta dall’istinto di sopravvivenza e con la mente infarcita dalle immagini nefaste viste a Real TV (noto programma che documenta eventi assurdi quanto catastrofici) la sera prima, corse in corridoio con una pantofola si, e una pantofola no. Lì incontrò lo sguardo interrogativo e un po’ surreale del fratello.
-Papà?- domandò lei. –E’ uscito!- rispose lui.
Bastò una sola occhiata e il piano per la salvezza della propria pelle era presto che fatto!
Lei corse al piano di sotto e con una brocca d’acqua spense il fuoco che ardeva arzillo e vigoroso nel camino, lui salì le scale che portavano alla terrazza per controllare la situazione, la loro madre si stese a terra a “pelle di leopardo”. Aveva sentito da qualche parte, in televisione ovviamente, che durante un incendio bisognava stare bassi a causa delle esalazioni.
Ora, è vero che la paura fa 90, ma di fumo nemmeno l’ombra in quella casa!
Vabbè, andiamo avanti.
I due fratelli si incontrarono sul pianerottolo del primo piano e si guardarono.
“ Cosa succede di sotto?” chiese il fratello. – Mah, niente, ho spento il fuoco, ma giù è tutto sotto controllo. E sopra?- chiese lei.
Lui, flemmatico, con le mani in tasca e la “frachetta” (cerniera dei pantaloni) aperta, rispose: - C’è un po’ di fumo, probabilmente un piccolo incendio causato dalla fuliggine che si è accumulata. Si sta incendiando la canna fumaria. Non penso che ci sia un serio pericolo ma telefono comunque ai Vigili, non si sa mai!-
Poi voltò la testa, fissò un punto non definito del corridoio ed esclamò: - Mentre io telefono tu rianima la mamma e falla alzare da terra! – E scese.
La ragazza rincuorò la propria madre con una tale “pietas” che lo stesso Omero non avrebbe saputo fare di meglio. E fu così che la convinse a rialzarsi e ad andare al piano di sotto, giurando su tutti i santi del paradiso che la loro vita non avrebbe avuto fine quel giorno. Tuttavia il panico della donna era ben lungi dall’essere cessato. E infatti, mentre il figlio forniva i dati tecnici ai pompieri tipo consistenza dell’incendio, paese, via e numero civico e la figlia ridacchiava per l’emozione di avere dei bei pezzi di ragazzoni in casa, la mamma si concedeva a scene di tragedia greca in grande stile.
A onor del vero, la fragile emotività della povera donna era tormentata da vecchie storie folkloristiche che le erano state raccontate dalla popolazione indigena, nella notte dei tempi, sugli incendi delle “cimmuner” . Erano storie raccapriccianti di abitazioni devastate dalle fiamme, solai che cedevano improvvisamente, esseri umani sepolti sotto cumuli immani di macerie, in poche e pratiche parole: “Ijon scuffulet li ches, ijon’a muert li cristien” (sono crollate le case, sono morte tante persone).
Eccola lì, dunque a battersi il petto e a girare convulsamente intorno al tavolo della cucina, facendo quasi il solco, aspettando che il destino facesse il suo corso.
Fratello e sorella, intanto, come consigliato dai Vigili del Fuoco, cercavano una coperta per coprire l’apertura del camino, in modo che passasse meno aria possibile e che la combustione fosse più gestibile. Anche perché, adesso, dall’alto cadevano giù grossi pezzi di fuliggine infuocati e brandelli di canna fumaria che cominciava a creparsi. Diversi pezzi di brace si riversavano sul pavimento della cucina e bisognava fare un po’ di attenzione.
Ad un tratto la famiglia sentì dei tonfi sulla porta di casa. Sembrava che stessero tentando di abbatterla tanto erano forti i colpi che sentivano.
Il giovane esclamò: - Sono arrivati i pompieri! Vai ad aprire mentre io tengo la coperta!-
La ragazza guadagnava la porta in tutta fretta quando fu colta da un vago timore: - Questi stanno battendo troppo, e se sfondano la porta e io rimango sotto?- Ma si fece coraggio e aprì.
In quel momento rimase come basita davanti alla scena che i suoi inesperti e ingenui occhi videro.
Un vecchio con una coppola verde in testa e un cappotto color cammello risalente al 1936 si tirava con entrambe le mani i pochi capelli bianchi che fuoriuscivano dal copricapo. Aveva gli occhi sbarrati e sembrava terrorizzato. Improvvisamente afferrò la giovane per le braccia, strinse forte e le urlò ad un centimetro dalla faccia: - La cimmuner ijè pijgghijet fueche, mu a va scuffulè ches (la canna fumaria si è incendiata, tosto crollerà la tua casa).-
Lei voltò ammutolita e istintivamente lo sguardo verso destra e rimase agghiacciata. Una ventina di persone si erano radunate in strada a gustare il dramma altrui, con lo sguardo avido di sangue e, in prima fila, tre decrepite cornacchie vestite di nero. Tutte sulla ottantina, mai viste prima, mai conosciute, ma si offrivano spontaneamente, a titolo gratuito, per la recita del coro tragico. Il loro copione era piuttosto semplice ma incisivo:- “Marammè, marammè, wuè ma’”.- (Povera me, oh mamma).
Ciocche canute sparse sugli affannosi petti, viso graffiato e urla disperate venivano elargite senza risparmio di forze, né di verve recitativa.
Mentre il vecchio continuava a strattonare la povera giovane, questa, un po’ frastornata disse: - Ma, ma…abbiamo già chiamato i pompieri, grazie.- Poi con una mossa da cintura nera di karate si liberò dalle tenaglie del vecchio e si barricò in casa. Se avesse avuto gli attributi maschili se li sarebbe ridotti a sangue pur di togliere il malocchio infuso da quei “menagramo” maledetti.
Che poi le ottantenni chiamassero in aiuto le loro mamme, beh, questo ancora oggi le rimane un mistero da risolvere.
Ma andiamo avanti, potrebbe portare davvero male insistere su questa scena jettatrice!
Dicevamo? Ah, sì… E così la sorella prese posto da un lato del camino e aiutò il fratello a tenere la coperta. Questo era un lavoro faticoso poiché ricordiamo che quel giorno c’era molto vento e il tiraggio della canna era davvero forte. Ad un tratto squillò il telefono. I due giovani erano bloccati mani e piedi e così il ragazzo intimò:- Mà, vai a rispondere al telefono!- La donna smise di girare attorno al tavolo ed eseguì l’ordine come un automa. Alzò la cornetta terrorizzata e rispose:- Pronto?…A San Michele…Si! L’indirizzo è quello che vi ha dato mio figlio. Che significa che non sapete dove si trova la via?… Si, vi spiego la strada. Allora, …andate in piazza… Casa mia è a Sud!-
I due fratelli si guardarono stupiti, poi la ragazza disse: - Dove sarà il Sud?-
Ma la madre insisteva. – Insomma, la casa si trova a Mezzogiorno!- gridò.
-Che vuol dire che la casa è a Mezzogiorno?- chiese il giovane. Poi continuò urlando: - Mà, ma che “c***o” dici?-
La sorella sospirò: - Non ci troveranno mai, forse moriremo davvero qui come hanno detto quegli uccellacci della malora.-
Le speranze erano ridotte a un lumicino ormai. Nessuno osava parlare.
Ma la vita riserva anche belle cose. In lontananza si udì la sirena dei pompieri.
Quei geni avevano ben capito che la donna per l’agitazione non era stata in grado di spiegare la strada e perciò avevano chiamato i Vigili Urbani. Questi ultimi li aspettavano all’ingresso del paese e li scortarono all’abitazione interessata.
La madre aprì la porta abbracciando il primo uomo in divisa che vide e si tranquillizzò un poco. I pompieri fecero il loro lavoro in modo professionale e velocemente, in tutta serenità. I vigili Urbani usarono lo sfollagente per mandare a casa le persone che nel frattempo si era riversate a frotte nella strada e nei paraggi della casa, sperando in qualche fatto truce di sangue. Qualcuno oppose anche resistenza, adducendo che la strada, in fondo, era di tutti.
E questa è la storia del camino che prese fuoco. Se ne parlò per mesi tra la popolazione, e le cronache rasentarono la fantascienza.
Una storia vera, semplice, che però qualcosa la vuole insegnare. In paese le cose si esagerano sempre. Lo chiamano folklore… Io mi astengo da ogni commento.
Dimenticavo! Non ho ancora parlato del capo-famiglia. Magari qualche lettore che ha avuto la pazienza e la bontà di arrivare fino a questo punto del racconto si sta domandando dove fosse.
L’ignaro uomo era all’Ufficio Postale e mentre pagava le bollette stava pensando che forse-forse bisognava pulire la canna fumaria poiché da tempo non lo si faceva.
Poi i suoi pensieri furono distolti dalla sirena dei Vigili che si sentiva in lontananza e pensò: - Sep a ci pizzaron ste piccie la cimmuner!-.
Racconto di Stefania Nigro.
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Quando Stefania mi ha detto di avere la passione per la poesia e la letteratura, ho "petulato" forse un anno per poter avere, e condividere, suo materiale inedito.
Finalmente oggi un suo sms mi comunicava che "era pronta" obbligandomi, però, ad essere sincero nel commento.
Non ho strumenti per valutare sostanza e peso di un testo, ma vado per istinto: si sono scompisciato dalle risate...
Cambierei il titolo che, secondo il mio modesto parere, non rende: proporrei "Fuligine" con allusione al nero cornacchia ancora presente nella cultura sammichelana.
Stefania, docente presso la scuola Primaria qui a San Michele Salentino, ha partecipato a vari concorsi letterari e di poesia ed è appassionata anche di canto corale.
Complimenti ed un "in bocca al lupo".
Un abbraccio, Rocco