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La notte dell'anima fra paura e creatività - II parte

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Oggi accetteremmo ancora come valida la distinzione in termini fisici tra mondo lunare e mondo sublunare teorizzata da Aristotele se studiosi come Tycho Brahe o Galileo Galilei non avessero studiato, di notte, le comete e i pianeti e non avessero confutato il principio tolemaico di impenetrabilità dei cieli, o non avremmo saputo che è la luna a regolare il flusso delle maree: l’uomo, di fronte a un cielo stellato, può provocare cambiamenti di portata mondiale. L’uomo che si relaziona con l’infinito e lo decifra in leggi matematiche, pertanto universalmente valide (ma non assolute, attenzione: a formularle è pur sempre un mente umana). Qualcuno mi dica dov’è l’ignoranza.
È incredibile come la sorte, a volte, giochi brutti scherzi. L’Illuminismo aveva come obiettivo quello di dissipare con il lume della ragione le tenebre dell’ignoranza scese sul mondo dal Medioevo in poi ( periodo, questo, per gli Illuministi, di oscurantismo e superstizione). Ma in fondo non ha fatto altro che prenderne in prestito il binomio tenebre-ignoranza, commettendo per di più un errore di valutazione nei confronti del Medioevo stesso, quando invece ne condivide un tratto saliente: la concezione di luce, ad esempio. Nel Medioevo era Dio, per gli Illuministi la ragione – che finirà poi per assurgere a divinità . Fonti di luce diverse generano comunque male e ignoranza. Ironia della sorte.
L’uomo è così, contraddittorio: con quanto più fervore si impegna a confutare una tesi o a sovvertire un ordine prestabilito, tanto più rimane invischiato nei propri limiti. È lì che comincia la vera notte: oltre il confine della ragione. Pertanto le strade per esplorare l’inesplorabile sono due: l’arte e il sogno.

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Ecco come un libro può sconvolgere l’anima.
È indescrivibile la sensazione che si prova a veder i propri abbozzi di pensiero palesati da altri in maniera chiara ed inequivocabile, tanto da strappare una lacrima di commozione. Non sarò certo io a ribadire la grandezza dello scrittore russo Lev Tolstoj, se non ai fini del nostro discorso. Il vero eroe del suo capolavoro Anna Karenina è Levin Constantin, timido, impacciato e innamorato (respinto) della bella Kitty. E, in una notte stellata, decide finalmente di porre fine alle sue sofferenze di amante non ricambiato , dedicando la sua vita al lavoro nella tranquillità della campagna. Tutti i suoi desideri di cambiamento sono accompagnati dal formarsi di una nuvola a conchiglia, che finisce per raccoglierli tutti. Quando, ad un certo punto, “in quel momento di mestizia che sempre precede l’alba: la vittoria della luce sulle tenebre”, come una visione, appare lei, Kitty. Levin riesce a malapena a riconoscerla dal finestrino della carrozza in cui la sua amata viaggia che già tutti i suoi desideri di cambiare vita si dissolvono, insieme con la nuvola a forma di conchiglia.
“Una cosa è certa: questa notte ha deciso la mia sorte”, dice Levin. Non che i cambiamenti avvengano così, repentinamente, ma a volte le ore notturne aiutano a vedere le cose sotto una luce diversa: quella delle stelle, della luna. Come si dice, la notte porta consiglio. Sempre perché la quasi assenza di luce porta alla riflessione, all’analisi interiore. Che poi tale propensione alla speculazione intellettuale sia più presente in alcuni tempi e luoghi piuttosto che in altri, questo è un fatto. Dubito che un mediterraneo avrebbe potuto dipingere un notturno dai tratti tanto intensi, così come a un mediterraneo non sarebbe mai venuto in mente di pensare “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” (cito qui una considerazione di Corrado Augias a proposito di Kant in una lettera sul quotidiano “La Repubblica”).

Ma a parte i condizionamenti geografici (i lunghi inverni, le distanze interminabili certamente avranno favorito la creatività e il rigore concettuale di questi popoli), c’è un filo che lega Tolstoj al succitato Mussorsgkij: entrambi sono figli del Romanticismo, entrambi sono convinti idealisti, che pure faticano a far coincidere pensiero e azione. Li accomuna l’idea di popolo - infatti entrambi ne fanno un coro polifonico, ognuno a modo proprio; li accomuna il dissidio interiore causato dalla consapevolezza dell’uomo di essere finito, ma costretto a rapportarsi con l’infinito. Dissidio che si traduce artisticamente in affreschi notturni di efficacia straordinaria, poiché in entrambi si evince il sentimento più naturale con cui l’uomo deve convivere: la paura. Intesa però come angoscia passeggera, destinata a dissiparsi non tanto al tornare della luce, quanto dopo la razionalizzazione dell’inconscio. Ma procediamo per gradi.
Le due possibili strade per addentrarsi nella fitta foresta della notte, come già detto, sono l’arte e il sogno. Il perché è presto detto. L’arte è pura razionalizzazione degli istinti, dà forma, tramite la tecnica, a ciò che altrimenti sarebbe solamente un groviglio informe di emozioni. La ragione universalizza le esperienze vissute. Pertanto nessuna forma di arte è deprecabile (purché abbia coscienza di sé, è ovvio), in quanto ha come scopo quello di aiutare l’uomo a superare la “notte dell’anima” (l’angoscia di Kierkegaard, o comunque, la paura per ciò che è sconosciuto), avvalendosi della cooperazione di istinto e ragione insieme. È quanto diceva anche il grande Spinoza: la ragione, per vincere le emozioni, deve farsi essa stessa emozione. Ecco perché ho ritenuto calzante l’esempio del jazz. Partendo dl presupposto che la musica è matematica allo stato puro, la difficoltà sta nell’essere creativi. E il jazz è il genere musicale che più riesce a far convivere tecnica e arte, apollineo e dionisiaco: è un istinto razionale, per riprendere l’ossimoro precedente. Ed è proprio per questo che va a braccetto con la notte e, servendosi di un’impostazione logico-matematica, è lungi dall’essere espressione di istinti bestiali come voleva l’Adorno. Non se ne abbiano a male i suoi sostenitori per questa considerazione.

Dicevamo, il sogno: anche l’attività onirica è un prodotto di inconscio ed elementi di vita reale. Tuttavia, pur lanciandosi in una trattazione sistematica di tale processo, è assolutamente improbabile giungere ad una conclusione universalmente riconosciuta. Sembrava, con Freud, di aver trovato la soluzione al problema, salvo poi successive smentite. Insomma, il terreno dei sogni è molto più sismico di quello dell’arte, in quanto prende in prestito elementi razionali, ma se ne serve in maniera molto spesso indecifrabile. Tutto ciò che possiamo dire a riguardo è che il sogno è comunque un mezzo per viaggiare nella notte: non necessariamente durante il sonno, ma anche ad occhi aperti, il sogno che possiamo chiamare aspirazione. Da non confondersi con l’ambizione dei presuntuosi, l’aspirazione è la vera anima delle azione umane, la guida sicura nella notte dell’incertezza, la mano che si poggia sulla nostra spalla e ci invita a reinventarci, a non essere mai soddisfatti. A mettersi in gioco. Sempre. Anche se il traguardo può sembrare incerto, la luce dell’aspirazione può dare risultati inaspettati.
La notte non va sconfitta, ma superata. È una regione dell’anima, che spaventa per la sua apparente impenetrabilità. Prima o poi l’uomo deve fare i conti con la propria irrazionalità: non c’è cosa più sbagliata che non farlo o ritardare il momento.
L’errore di aver considerato la notte dell’anima come ignoranza deriva probabilmente dal fatto che la paura degli istinti ha prevalso sulla loro analisi lucida. L’uomo è anche istinto, non bisogna farne un dramma: tanto vale allora imparare a dirigere l’irrazionale. Come farlo, si è già detto.

“Se l’uomo fosse soltanto un animale o soltanto un angelo non avrebbe possibilità di provare l’angoscia. Ma l’uomo è una sintesi ed è per questo che sente l’angoscia e l’uomo è tanto più grande quanto più l’angoscia è profonda […]L’angoscia è la possibilità della libertà…” *

*S.Kierkegaard, Il concetto di angoscia.
Kierkegaard a riguardo aveva una posizione, per così dire, più mistica, pertanto individuava l’angoscia come possibilità di essere liberi attraverso la fede e un’esperienza religiosa realmente sentita. Ho volutamente non citato la fede religiosa fra i metodi per superare la notte dell’anima per dare un taglio umano e realistico alla mia trattazione. La fede purtroppo, non tutti hanno il privilegio di averla. Tuttavia la frase di Kierkegaard mi sembrava lapidaria nella sua straordinaria essenzialità.

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FONTI

Molto del materiale è stato preso e rielaborato dall’enciclopedia multimediale Wikipedia. Per il resto, ho opportunamente citato la fonte di ogni riflessione che non fosse farina del mio sacco. Pertanto le considerazioni a seguito delle quali non ho indicato la fonte sono assolutamente personali. Mi sono avvalsa dell’ausilio di libri viventi quali il prof. Sandro Rancitelli, per i consulti di musica classica e il prof. Giuliano Graziani, con le sue lezioni sul jazz.
Lo spunto di riflessione circa la notte come sede di scoperte scientifiche (il riferimento a Galilei) mi è stato suggerito da Benedetto Iurlaro.

A. DELLA CORTE/G. PANNAIN, Storia della Musica, L’Ottocento e il Novecento, Unione Tipografico Editrice Torinese, 1952
LEV TOLSTOJ, Anna Karenina, Oscar Mondatori
N. ABBAGNANO/ G. FORNERO, Le tracce del pensiero, storia e testi della filosofia, Paravia, 2005
LUDOVICO GEYMONAT, Immagini dell’uomo, Età contemporanea, Garzanti, 1989
P. AGAZZI/ M. VILLARDO, Hellenistì, grammatica della lingua greca, Zanichelli, 2002
DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia, a cura di Bianca Garavelli, Bompiani, 2006

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