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Prologo
La piazza, si sa, è il punto nevralgico di un paese, vetrina e posto privilegiato d’osservazione allo stesso tempo, a seconda,non solo dei “punti” di vista, ma anche dei veri e propri punti topografici in cui si staziona.
E’ così per piazza Marconi a San Michele, per piazza IV Novembre a Supersano, il mio paese, per le piazze di tutto il mondo. Un ombelico che diventa esso stesso paese nel paese.
Ci pensavo dopo una discussione con la mia amica Rosaria circa l’idea di trattare l’argomento “piazza” in modo diffuso sul giornale.
Ne riparleremo.
A me intanto, che vivo a San Michele dal ’99, ma lo frequento da più di 20 anni, una certa idea di come vanno le cose, me la son fatta.
1° tempo
Il mio paese ha due piazze. Piazza IV novembre, posta all’inizio, e piazza Margottini posta alla fine. Almeno prima era così: l’inizio e la fine, anche se decentrata, del paese. Anche ora, che tutto è cresciuto, tanto che piazza Margottini è più o meno a metà del paese, per me è sempre come 30 anni fa. L’inizio e la fine.
Piazza IV Novembre, oggi pavimentata e arredata, era nella mia adolescenza un posto “semipaludoso”. Senza asfalto e piena di buche che si riempivano sempre d’acqua dopo ogni pioggia, era il luogo preferito dei cani randagi che vi stazionavano anche perché attratti dalla macelleria che “Paulucciu Burricu”, il proprietario, gestiva qui insieme all’osteria posta di fianco.
Piazza Margottini, di fronte all’edificio delle Suore, era invece il luogo di raduno per i motorini dell’epoca oltre che improvvisato campo di calcio in notturna. E’ qui che sfilavano i vari “motorini a marce”, “motobecane”, “minichic”, “califfone”, oltre ai sempreverdi “ciao” e “boxer” rimpiazzati più tardi dall’avvento del “si”.
Piazza Margottini, lontana da casa, ha per me ricordi che risalgono alla tarda adolescenza quando iniziavamo ad attardarci per strada fino a tardi. Ed è qui che una sera, mentre giocavamo a pallone, mi saltò via completamente tutta la tomaia di una scarpa staccandosi per intero, in un colpo solo, dalla suola. Rimasi con il piede di fuori ed essendo quello, come era consuetudine all’ora, il mio unico paio di scarpe, dovetti prestarmi da mio cugino i suoi stivali “camperos”.
Chi ha all’incirca la mia età sa di cosa stiamo parlando. Pesanti, a punta e col tacco alto, i “camperos” rappresentavano il must nei primi anni ’80; dovevi però esserci allenato per riuscire a camminare. Mi ricordo ancora il mal di piedi e l’indolenzimento dei quadricipiti perennemente in tensione tutto il giorno per poter controbilanciare la posizione inclinata e la spinta in avanti a causa dei tacchi alti, nonché la camminata incerta, da palombaro, con quei pesi che mi facevano da zavorra.
L’altra piazza invece era sotto casa, adicente alla strada principale che taglia in due il paese in direzione N-S.
Di piazza IV Novembre voglio però raccontare una storia che ha scritto Ezio Sanapo, un mio compaesano. La racconto così come me la ricordo e mi scuso con Ezio per la riduzione che non rende giustizia al suo bellissimo racconto che va indietro di altri due decenni rispetto agli anni della mia adolescenza.
E’ la storia di “Vituccio paracazzi”.
Sboccato, irascibile e senza amici della propria età, Vituccio si riconosceva subito nel gruppo di ragazzi che “vivevano” per strada, perché più grande ed alto.
Sempre rasato a zero, sia d’estate che d’inverno per risparmiare sulla spesa del barbiere, se ne andava in giro con la fionda e le tasche dei malridotti pantaloni piene di sassi. Nervoso e incazzato col mondo intero, era sempre a zonzo perché nessuno lo voleva a bottega.
Ragazzi e cani condividevano la piazza; i primi giocando a stàccia con noci e noccioli, i secondi guardandosi dai primi quando questi lasciavano stàccie e noci e li usavano come bersaglio per le loro sassate.
La sua conformazione topografica rendeva piazza IV Novembre una sorta di slargo; poco invitante a far soffermare i forestieri di passaggio veniva frequentata sempre dalle stesse persone.
Anche la corriera che passava tutti i pomeriggi non portava alcuna novità. Alla fermata del bar, poco più avanti, non c’era mai nessuno che scendeva né, tantomeno, qualcuno che vi salisse sopra.
Un giorno come tanti un furgone mai visto prima si fermò in piazza e vi scesero due accalappiacani in divisa e stivali alti in cuoio. Mentre uno di essi tendendo la mano in avanti offriva qualcosa da mangiare ad un cane, ignaro del pericolo ed affamato più del dovuto, l’altro nascondendo il bastone con il cappio cercava di avvicinarsi al malcapitato per catturarlo.
Fu allora che Vituccio paracazzi con una sassata precisa colpì in pieno il cane che spaventato si mise a correre a gambe levate con Vituccio che gli andava dietro e con gli accalappiacani che imprecando e bestemmiando lasciarono perdere.
Si parlò per po’ di questa storia poi la vita riprese il suo ritmo.
Cani, ragazzi, passanti, stàccie, sassate, e il solito Vituccio che a volte fingendosi spettatore guardava gli altri giocare a noci per poi afferrarle rapido e scappare via con il bottino.
Finchè un giorno non si fermò una macchina dalla quale scesero quattro uomini che acchiappato Vituccio lo sollevarono di peso e lo portarono via.
Tutto successe in fretta tra lo stupore degli astanti che non ebbero nemmeno il tempo di realizzare quanto avveniva.
Nessuno vide più Vituccio Paracazzi; di lui non si seppe più nulla.
Se ne parlò per qualche giorno, poi niente più.
Dopo un po’ di anni si seppe che un ragazzo di Supersano, rinchiuso nel manicomio di Bisceglie, era morto.
Povero Vituccio paracazzi passato dalla libertà della piazza alla prigionia del manicomio. Senza fionda, senza sassi da tirare, senza noci da rubare.
2° tempo
Piazza Marconi, centro di gravità permanente e luogo di un diffuso passeggio, è La Piazza di San Michele.
C’è chi la taglia in lungo, chi in largo, chi si mantiene al centro, chi ai margini. Un vai e vieni ordinato con dietro-front sincroni e disinvolti. Categoria nella categoria è quella dei “passeggiatori stagionali”. Dove la stagione è quella delle elezioni amministrative. Non che i passeggiatori stagionali non frequentino la piazza anche in altri periodi, ma con l’avvicinarsi delle elezioni tutto assume un significato diverso, con un proprio codice che noi, frequentatori periferici, alla fine abbiamo imparato a decodificare.
La cosa più interessante è vedere come, di volta in volta, cambi la composizione delle “squadre” dei passeggiatori. Perché i passeggiatori di piazza Marconi, quelli stagionali, non passeggiano semplicemente, ma in un certo senso ufficializzano lì, sulla piazza, e rendono espliciti, i loro accordi, i loro compromessi.
Prima eravamo su sponde opposte e litigavamo in consiglio comunale? Ora come vedete andiamo a braccetto.
Io prima ero amico del sindaco e quindi tuo nemico? Ora sono nemico del sindaco e perciò tuo amico; a meno che nel frattempo tu non sia diventato amico del sindaco, poichè in tal caso vuol dire che siamo nuovamente nemici.
E vai con una passeggiatina.
Prima ero di destra? Ora sono di sinistra; anzi no, scusate, sono nuovamente di destra.
Prima mi ritrovavo con le frequenze del sindaco? Ora sono l’ideologo di un nuovo movimento politico il cui primo obiettivo è proprio quello di cambiare sindaco.
Ieri ho portato il mio carico di voti da una parte? Oggi lo scarico da un'altra.
Noi siamo zucchine e voi carote? Non c’è problema; noi possiamo autonominarci carote oppure voi potete dire di essere zucchine. Tutt’alpiù, male che vada, facciamo un bel minestrone tanto i cittadini sono dei coglioni e manco se ne accorgono di cosa c’è dentro.
Una marcetta per ogni occasione. A sinistra come a destra. A destra come a sinistra.
Non penso che sia esecrabile cambiare idee, opinioni o quant’altro; per carità. Ma ritengo che nel farlo sia necessario un certo pudore. Occorrerebbe, quantomeno, un periodo di pausa, una riflessione coscienziosa, assumendo l’onere di un atto responsabile e serio nel rispetto dei cittadini cui si chiede il voto.
Smetterla con questa continua giostra da cui nessuno vuol scendere; dove se è occupato il “cavalluccio”, mi accomodo nell’”astronave” e se questa non mi piace più, passo all’”automobilina”. Purché non metta mai piede a terra e purché la giostra continui a girare con me sopra.
Basta con la litania che solo “gli stupidi non cambiano mai idea”; sarà anche vero, ma non è più accettabile l’atteggiamento, a tutti i livelli, di chi cambia tutto in continuazione, pelle, peli, piume e squame, autoriciclandosi e autopromuovendosi e sempre con quella spocchia insopportabile di stare, in ogni caso, dalla parte del giusto.
E’ ora che qualcuno se ne faccia una ragione.
Epilogo
Manca a questo punto - come recita il titolo di una canzone - lo “scrutatore non votante”. Che non è una persona specifica, ma uno stato di fatto che alcuni rivendicano. Senza la presunzione di essere dalla parte del giusto; ma intanto è così per chi crede che esiste sempre e comunque una terza via. Per chi scarta l’insipido “turiamoci il naso e andiamo a votare” come suggeriva Montanelli; per chi sceglie deliberatamente di stare al di fuori. E non perché criticare tutti equivalga a non criticare nessuno, o perché si delega ad altri di scegliere (figuriamoci, io non delegherei gli altri nemmeno per comprarmi il giornale); ma perché si ritiene, se la storia ci ha insegnato qualcosa, che ciò che prevarrà alla fine sarà la ricerca della vittoria a tutti i costi, con partiti e schieramenti che invariabilmente apriranno le braccia a tutti, purché portino voti, al di là della qualità dei candidati, della loro serietà, della loro abnegazione e del loro passato.
Perché questa storia la conosciamo già, così come conosciamo già il suo triste finale che immancabilmente arriverà. Basta aspettare.
Per questo se il mio amico Mimino sottolineava le qualità indispensabili per “il sindaco prossimo venturo” e il direttore di “Prospettive” individuava l’importanza di “mandare a casa l’attuale amministrazione comunale”, anch’io per quanto mi riguarda ho fatto la mia scelta.
La terza ovviamente.
Quella di non votare.
P.S. Metto già in conto il prevedibile e, francamente, banale commento di qualcuno circa il parlare e il non agire con l’aggravante, nel mio caso, del “da dove cazzo spunta fuori questo?”
Ma: punto 1) vivo a San Michele con la mia famiglia e quindi faccio parte di questa comunità; punto 2) se è vero che l’esercizio del voto è lo strumento più alto di partecipazione democratica concessa ai cittadini, io uso il mio “non voto” per criticare un sistema e un modo di fare che non condivido e che, viceversa, votando legittimerei.
Perché credo che abbiano diritto di voce anche quelle minoranze che, proprio perchè estreme, agiscono da contrappeso in una società che possa, a maggior ragione, spingere verso una democrazia più ampia.
E poi scusate, gli esperti siete voi; che vi “sbattete” prima da una parte, poi dall’altra e domani da un’altra ancora per il bene del paese e quindi anche per il mio.
Per questo vi ringrazio e vi auguro buona passeggiata.
Ferdinando De Vitis
“…io sono un principe libero
e ho altrettanta autorità di fare guerra
al mondo intero quanto colui
che ha cento navi in mare”
Samuel Bellamy
Pirata delle Antille – XVIII secolo
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Nota di Midiesis: il presente articolo uscirà sul prossimo numero di SUDDEST ed è stata autorizzata l'anteprima della pubblicazione su questo spazio web su richiesta all'autore dello stesso midiesis.
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