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In questi giorni d’estate, in cui mi corico sfruttando la diagonale del letto per sfuggire quanto più possibile al caldo, guardo, non appena mi sveglio, il computer portatile - grande, o meglio piccolo, quanto una scatola di cioccolatini - appoggiato sul tavolo, senza soffermarmi sulla tecnologia racchiusa in uno spazio che potrebbe ospitare sì e no una quindicina di baci perugina.
Tutte le volte che interagisco con la tecnologia mi accontento, per una sorta di pigrizia neuro-muscolare, dell’essenziale.
Posso masterizzare DVD con il portatile, guardare film, ascoltare musica, ma non l’ho mai fatto (tranne una volta in cui ho passato la notte in ospedale e mi son portato dietro due film), ci scrivo e basta; ho una multifunzione che oltre a stampare può scannerizzare e faxare, ma anche questo non l’ho mai fatto così come non ho mai montato riprese o scattato foto in una delle tantissime impostazioni possibili, diverse da quella standard, che ti offre il digitale.
Soccombo alla tecnologia. O meglio al suo rinnovarsi frenetico.
Divx, mp3, testi scaricati, immagini copiate, foto salvate, un sunto veloce e fatto male per un mondo schizofrenico in formato “Bignami”.
Si accumula tanto materiale senza sapere nemmeno di possederlo. Senza riuscire a metabolizzare ciò che si ascolta, si legge, si guarda; sempre se lo si ascolta, lo si legge, lo si guarda.
Il tempo di masticare le cose e sputarle via dimenticandone subito il sapore.
Tutti i miei dischi, i miei libri, le mie videocassette, i miei cd, i miei fumetti, raccolti in quasi 30 anni, potrebbero essere scaricati molto semplicemente da internet, in pochi giorni, da un qualsiasi adolescnte che lasci in funzione il computer: mentre dorme, mentre è al bagno, mentre si masturba, mentre litiga, mentre passeggia.
Senza consapevolezza, senza scelta; solo altra roba da accumulare e seppellire per sempre in un hard disk.
Mastica e sputa.
Puoi passare dall’edicola per un’enciclopedia a volumi, per un DVD, per una guida turistica, per un preservativo (l’ho trovato incellophanato con una rivista di musica), per un romanzo, per il fai da te, per un set di coltelli, per un collant. Trovi tutto allegato ai giornali, alle riviste, perché in questo mordi e fuggi, ciò che luccica e appare conta più del contenuto, spesso è il contenuto.
Perché la televisione ci tiene informati e a passo con i tempi, in giusto anticipo per non risultare demodè.
Non sono contrario al progresso, anzi, ma ai ritmi frenetici che a volte ci impone il suo utilizzo smodato.
Un cellulare a testa, una TV a testa, una macchina a testa; ben sapendo che tra un mese al massimo ci sarà un nuovo cellulare da masticare, una nuova TV da sputare, una nuova macchina da sognare.
Un self-service continuo che antepone la plastica all’acciaio, i microchips al pensiero, la fretta al duraturo, il profitto alla cultura.
Di cosa vuoi morire? Di stereo ad alto volume? Di indici di borsa? Di auditel? Di megabyte?
Quale futuro per un’umanità costretta sempre ad inseguire?
Accomodiamoci uomini del 2000 abbiamo un mondo fatto su misura, a nostra immagine e somiglianza.
E nel dire ciò avverto la contraddizione di tutti noi, di me stesso per primo, immersi in un meccanismo di cui confondiamo spesso il funzionamento.
E poi, come in ogni cosa, il risvolto della medaglia.
Di chi pensa che sia sufficiente rallentare il progresso, il consumo, la tecnologia per proteggere l’umanità, per salvare il pianeta.
Noi piccoli esseri mortali che crediamo di poter salvaguardare il mondo, quando a malapena la terra si è accorta della nostra esistenza.
Perché in noi è implicita la presunzione di credere che l’uomo sia, senza alcun dubbio, il fine ultimo di un progetto, divino o meno che sia, e che dopo non c’è e non ci potrà essere niente.
Perché non ammettere invece non solo che noi siamo di passaggio, ma che l’intero genere umano potrebbe esserlo?
4,6 miliardi di anni d’età per un pianeta che da 690 milioni di anni conosce la vita nelle sue forme più primitive.
Se concentrassimo questo enorme spazio temporale, che la mente umana per quanto si sforzi non può mai penetrare appieno, in un intervallo più accessibile di 46 anni e ragionassimo in proporzione, ci accorgeremmo che la vita si è sviluppata da soli 6 anni, che circa una settimana fa è comparsa la prima specie ascrivibile al genere umano, che poco più di 4 ore fa è nato l’uomo moderno (Homo sapiens sapiens), che 10 minuti fa Gesù predicava in Palestina, cha da 57 secondi è iniziata la rivoluzione industriale e che appena 5 secondi fa è crollato il muro di Berlino.
E capiremmo che il genere umano non è altro che una delle infinite strade possibili che l’evoluzione, per una serie di circostanze, ha intrapreso e niente toglie che se l’uomo dovesse soccombere non possa nascere una specie migliore di noi, più giusta, più solidale, più egualitaria.
Capiremmo quanto siamo ingenui e come, per la terra, siamo perfettamente sostituibili.
Questo si sarebbe un bel masticare e sputare e c’è da scommetterci che il sapore che resterebbe di noi sarebbe veramente ben poca cosa.
Ferdinando De Vitis
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