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Epicuro docet ancora

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inviato da Franci
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Sono incantata, letteralmente ammaliata. Antra è una ragazza lettone che suona e canta in un gruppo di musica gipsy, la musica dei gitani. Comincia a cantare una canzone con la sua voce meravigliosa, accompagnata alla chitarra dal suo ragazzo, Pavels. Sintonia perfetta fra i due. Alla fine dell’esibizione, i complimenti sono d’obbligo. Tuttavia è strano per dei ragazzi lettoni che un’italiana – abituata, per i condizionamenti culturali e la storia musicale del proprio paese a tutt’altro tipo di sonorità – sia così colpita da quella musica dai ritmi tzigani, di carri nomadi, di donne bellissime e di chitarre impazzite alla Django Reinhardt. Antra me ne chiede il motivo: io le dico che trovo quelle sonorità molto familiari e che mi interessano dal punto di vista etnomusicologico e filosofico. Ma lei taglia corto, con un lapidario: “Maybe you’re a gipsy, too”. Senza sapere assolutamente nulla dei miei effettivi e periodici spostamenti da una città all’altra. Fra me, inconsapevole gipsy, e Antra è subito intesa. Si è creato un ponte fra Lettonia e Italia.

Ho riportato le impressioni del mio incontro con Antra perché è stato uno dei più toccanti, ma di certo non l’unico esempio di comunicazione umana di cui mi sia capitato di essere protagonista nello scambio culturale a cui ho preso parte, dal 15 al 23 luglio a Dzwirzyno, Polonia, paesino sulla costa del Baltico. Vi ho partecipato per caso, su suggerimento di Giuseppe Argentiero (che non finirò mai di ringraziare), e portato con me un’amica, Francesca, la compagna di viaggio ideale per simili avventure. Partivo un po’ spaventata , come sempre quando si va incontro a qualcosa che non si conosce, ritorno soddisfatta, cresciuta, diversa.
Abbiamo perso, nel corso degli anni, quel nobilissimo concetto proprio della latinitas, quello di humanitas, intraducibile in italiano, ma che potremmo rendere come “prerogativa dell’homo in quanto essere umano”. Abbiamo sostituito l’humanitas, che è un calderone di valori come la civiltà, il rispetto e l’amore per la cultura, con buonismo, fratellanza ostentata e tolleranza (termine che dovrebbe essere, ahimè, ormai desueto: come si può ancora dire: “io ti tollero” o “io tollero la tua diversità”?). L’humanitas è accorgersi che gli uomini sono tutti uguali e che comunicazione e confronto sono possibili. Anche se fuori il mondo uccide e specula, anche con il nostro ormai famigerato inglese maccheronico.

Allo scambio hanno partecipato Turchia, Slovenia, Lettonia, Spagna, Portogallo, Polonia e Italia, per un progetto sulla socializzazione tramite la musica. Abbiamo lavorato per la realizzazione di uno spettacolo per dei ragazzi del posto (con canti popolari di ogni paese, danze, ecc.) e di un dvd. Si è creata fra noi partecipanti una rete di “affinità elettive” – scomodo Goethe perché rende sempre bene il concetto – una maglia di emozioni e affetti che non andranno perduti. Le mie eccezionali compagne di stanza slovene mi hanno invitato ad andarle a trovare al più presto. Sto già pianificando con Francesca quando andarci.

Ho trovato nei miei coetanei internazionali persone di un livello culturale impressionante. Via al confronto, allora, anche sui temi più spinosi. Si è parlato, in un clima familiare e gioviale – fra party notturni, serate in discoteca o sulla spiaggia ad aspettare l’alba – di argomenti come la questione dei confini fra Italia e Slovenia, zone che sono state a lungo teatro di conflitti e rivendicazioni, di Islam, Corano e terrorismo con i Turchi e del processo di occidentalizzazione del loro paese dopo Ata Turk. Poi dei timori dei lettoni circa la minaccia sempre incombente della Russia, che potrebbe comprare da un momento all’altro la Lettonia sull’orlo della bancarotta, e ancora, con la meravigliosa Soraia, una di quelle persone che, se solo ce ne fosse qualcuna in più, le cose nel mondo andrebbero meglio, delle attività che alcune associazioni come la sua svolgono in Portogallo per portare via dalla strada ragazzi sfortunati.
Semplicemente parlando, disinteressatamente, come i politici non potrebbero mai fare. Questo è stato il nostro G 8, con tutto il rispetto per quello ufficiale. Il fatto che al momento dei saluti tutti si sono commossi per il fatto di doversi separare – non per sempre, ovvio, ché siamo tutti profondamente convinti di rincontrarci un giorno – è la più evidente testimonianza di quanto noi giovani siamo forti. Di quanto possiamo rompere le barriere.
A me, un po’ disillusa sul mondo, un po’ scettica circa le possibilità di cambiamento della realtà, quest’esperienza ha dato una speranza e un ottimismo che mai avrei immaginato. Una delle mie amiche slovene, Monika, dice che le piace il mio intercalare “Wonderful!”, perché le dà il senso tangibile di quella positività di cui sopra.

E che dire di Anja, che mi ha salutato così: “Francesca, I’ve never had a sister. Now I feel like I have one.”

Ogni giorno l’amicizia fa il giro del mondo per ridestare gli uomini affinchè si possano felicitare a vicenda. Epicuro docet ancora.

Eccovi qualche foto:

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Il gruppo italiano: Io, Francesca,Lorenzo (Ancona), Riccardo (Milano) e Gianluca (Ancona)

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Io e Anja <3

Franci, Io e Antra al centro
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Un bel meltin' pot: Gianluca, Francesca, Io,
Said (Turchia), Zvonko e Monika (Slovenia) e Aina (Spagna)

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E infine... Il Mar Baltico: poco salato, freddissimo, ma fantastico

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