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10 anni fa, il 9 settembre 2008, moriva Lucio Battisti per un tumore al sistema linfatico.
Pilastro fondamentale (l’altro è stato Domenico Modugno) su cui ha fatto perno il rinnovamento, dal punto di vista melodico, della musica nostrana, ha tracciato un segno indelebile potendo competere alla pari, unico nel suo genere, con la coeva musica anglosassone.
Per quanto mi riguarda l’artista Battisti lo racchiudo in due episodi storici estremi ed opposti.
L’uno riguarda il marchio infamante, che Battisti si portò dietro per anni, su una sua presunta fede fascista, l’altro all’opposto riguarda l’irruzione che i carabinieri fecero il 1 ottobre 1978 nel covo delle brigate rosse di via Monte Nevoso, a Milano, dove insieme agli incartamenti relativi al sequestro Moro trovarono l’intera collezione di Lucio; idolo quindi dei comunisti rivoluzionari.
Racchiudo il “mio” battisti in questi due episodi perché in mezzo ci metto il vero Battisti quello che (su testi di Mogol, spesso non all’altezza dello spessore della musica), da persona libera qual’era, se ne fotteva altamente della destra e della sinistra e “passava il tempo” a codificare la nuova musica italiana.
Il “mio” Battisti, schivo e riservato, quello con milioni di ricci, una giacchetta di velluto, i pantaloni a zampa d’elefante e un foulard colorato; così come mi piace ricordarlo.
nando