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Ho conosciuto per caso Pietro GATTI negli anni ottanta. Durante le vacanze estive al mio paese di nascita Ceglie Messapica, avido come sono di letture, frequento sempre l'edicola di Piazza Plebiscito. Un giorno chiesi informazioni su un libro di poesie che l'edicolante aveva esposto in vetrina: "A terra meje" (La mia terra). Mi piacque immediatamente, alla prima sfogliata mi aveva conquistato. Era casualmente presente la figlia del poeta che, felice di vedere in me tanta passione per il libro di suo padre, si fece avanti, mi portò a casa sua e me lo presentò. Nato nel 1913, era già in pensione da anni e coltivava la sua passione per la poesia. Parlammo a lungo e venni a scoprire che sua madre, aveva visto nascere mio padre e i suoi fratelli e sorelle, essendo, all'epoca, l'unica levatrice del paese. Vi lascio immaginare le mie emozioni di quel giorno. Al congedo, mi regalò una copia del suo secondo libro di cui aveva meticolosamente corretto a mano gli errori di trascrizione dello stampatore. Mi scrisse una breve dedica, nella prima pagina, con la sua grafia netta e chiara di antico impiegato comunale. Negli anni successivi andai a cercarlo un paio di volte ma la reciproca timidezza non riprodusse la magia del primo incontro. Lo voglio ricordare qui con questa, per me stupenda poesia d'amore:
Quanne u suspiru mije t'à cchiamate,
stasere, i o varcunciedde t'à ffacciate,
cudu rise de uecchje come a stelle,
o scure t'à llusciute, amoru bbelle.
Na strende m'agghje 'ndise atturne o core
de fueche. Na u fa cchjù, ca pozze more.
Giacomo smemorato