Alla nostra domanda su come potrebbe vivere la sessualità un prete, Don Angelo rispose al gruppo nutrito di 18nni, che non c’era, per lui, una demarcazione netta tra affettività e sessualità: i due aspetti si intersecavano. La cosa che ci colpì molto fu la conclusione della sua risposta: non potrei amare nessuno senza la mia dimensione sessuale.
Mi permetto di condividere questi pensieri non per ritornare con la memoria agli anni che furono, ne tanto meno per aggrapparmi ad un periodo della vita molto intenso che non ritornerà più. Le motivazioni si riferiscono al presente e coincidono due fatti accaduti in questi giorni:
- il primo riguarda l’ennesima discussioni “filosofica”, tenuta con alcuni amici, sul vivere la vita con i piedi per terra e “godere” delle cose semplici e reali in contrapposizioni alla trascendenza dell’immaginazione, del “sogno”, che ti fa “volare” alla ricerca di quello che ti manca o che non ti è permesso, per varie ragioni, di possedere, che ti stimola a cercare e realizzare ciò che è nel “bisogno”;
- il secondo fatto riguarda “La teoria del volo”, un film di Paul Greengrass con Kenneth Branagh, Helena Bonham Carter, che l’altra sera mi ha incuriosito per il titolo e per la trama. Il film inizia con delle riprese aeree su colline amene della Gran Bretagna e la voce fuori campo del protagonista maschile (Richard) che introduce e, cosa non consueta, spiega da subito “la teoria del volo” (“staccarsi” dalla realtà nel tentativo di abbandonare tutti i problemi).
E’ la storia di Jane, una giovane disabile di 25 anni inchiodata su una sedia a rotelle da una malattia neurologica e prossima alla morte. Un personaggio scontroso, cinico, che trova la serenità solo quando piomba nella sua vita il pittore fallito Richard, a causa della sua passione per il volo. Prostrato da crisi esistenziale, l’uomo si è gettato dal tetto di un museo londinese con un deltaplano fatto con le sue tele. Condannato a un anno di servizio civile, abbandonata città e fidanzata, Richard si dedica alla sua passione per il volo e, obbligato dalla legge, all’assistenza di Jane. Tra i due nasce una profonda amicizia, ma il rapporto si complica quando lei gli chiede di farle perdere la verginità prima di morire. Logicamente Richard si rifiuta e gli propone di “ingaggiare” un gigolò ma l’esperienza, non conclusa, è drammatica… e poi… vi consiglio di vedere il film, ne vale la pena, anche perché nel dramma dei due personaggi che cercano disperatamente di soddisfare un forte bisogno di normalità, non mancano l’ironia e dialoghi sarcastici molto belli. Una metafora sulla dimensione sessuale/affettiva e sul senso della vita, sui modi diversi di vedere e vivere i “propri mondi” costantemente a se stanti e lontani dove anche il gesto di stringersi la mano è fatto con il timore di percepire o ricevere/dare “affetto”.
I problemi, però, vanno risolti, bisogna rimboccarsi le maniche, assumersi le proprie responsabilità e tenere i piedi per terra (ed il cuore sulle nuvole). Poi ci sono quelli irrisolvibili per cui vale la pena costruirsi un deltaplano con le proprie cianfrusaglie inutili e farsi un giro...
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