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Caro Rocco,
è probabile che anche nella nostra parrocchia, a breve, venga restaurata la celebrazione della messa in latino. Conviene quindi familiarizzare con la lingua dei nostri avi. Mala tempora currunt. Tempi bui opprimono lo spirito della nostra comunità, che scivola verso una lenta inversione della gerarchia dei valori. La modalità esistenziale dell’Avere, del possesso, del dominio, del potere ha sostituito quella dell’Essere, della crescita e dell’arricchimento della propria interiorità. La volgarità e la sguaiataggine sovrastano l’educazione, la finezza, la cortesia. La solidarietà è sostituta dall’egoismo e dal menefreghismo. Il disprezzo e il rancore verso l’altro furoreggiano al posto del confronto, del dubbio, del dialogo. Il privilegio impera al posto del diritto. Il servilismo verso l’autorità dilagano in sostituzione del coraggio di dire la verità.
In questo frangente storico, il potere politico e quello religioso appaiono accomunati da un’identica visione: l’ossessione per il diverso da me e per il pensiero autonomo e divergente. Cosicché l’inquilino pro tempore di via Pascoli e quello a divinis di via S. Michele Arcangelo sembrano usare la stessa modalità di approccio verso l’altro portatore di diversità: la minaccia, la ritorsione, l’indifferenza e la conseguente cancellazione sociale.
Il primo appare addirittura folkloristico quando colora di volgarità e turpiloquio il suo linguaggio verbale. Ma tutto sommato, la democrazia ha i suoi sistemi di difesa e la sua stessa maggioranza nell’ultimo consiglio comunale lo ha reso presentabile, rendendolo civile per tutta la seduta consiliare. Certo c’è sempre il rischio della recidiva, ma io confido nel fatto che diventerà sicuramente una persona fine nel linguaggio grazie anche alla significativa presenza delle donne nell’assemblea consiliare.
Il secondo invece predilige dall’alto del pulpito un linguaggio fondamentalista e apodittico, rasente la condanna e la scomunica, inibendosi così l’ascolto e la comprensione del prossimo. Temo che, in regime di monarchia, com’è la Chiesa, non esista alcun consiglio pastorale in grado di far passare una visione della Chiesa che si informi più strettamente al Vangelo, capace di chinarsi umilmente sui piedi di chiunque e di praticare quella “teologia del volto”, che vuol dire incontro e accoglienza dell’altro. Non che in esso manchino ottime persone con un bagaglio culturale e formativo che specchia la propria esistenza ai valori evangelici, ma, io credo, per la presenza di un clima di anestesia esistenziale che rende indisponibili (o senza coraggio?) a esporsi alla natura dell’altro e di tutto il suo mondo.
Devo ammettere che non è facile per nessuno abbattere quella parete divisoria, invisibile, che separa me dal prossimo (chiunque egli sia). In realtà, noi esseri umani siamo asserragliati in modo assai efficace, siamo sulle difensive, difendiamo noi stessi dal prossimo, dalla radiazione della sua interiorità dentro di noi, da ciò che la sua interiorità esige da noi e che si riversa su di noi. Siamo diventati un’armatura dentro la quale forse non c’è più nessuna persona.
Guardiamoci intorno per un momento e vediamo quanto sia diventato facile togliere il saluto all’altro, girare la testa dall’altra parte per non incontrare il suo sguardo, non ascoltare le sue parole, fare finta di niente. È la paura di guardarci dentro, di scandagliare i fondali più profondi di noi stessi e di scoprire che, solo per puro caso, abbiamo evitato di ritrovarci nei panni di chi ci ispira riprovazione, se non proprio sdegno e ripulsa. E che la possibilità di diventare come lui ancora esiste e sobbolle dentro di noi, vive dentro di noi. Forse, l’altro, il diverso, proprio quello che non riusciamo a sopportare, solo facendolo vivere dentro di noi possiamo riconoscergli il diritto all’esistenza.
Accettare questo in noi vuol dire prenderne coscienza e assumere un atteggiamento di ascolto, di attenzione, un modo di porgersi, verso se stessi e gli altri, che si impegna a tenere sempre presente un fatto semplice, ma così facile da dimenticare: il fatto, cioè, che dentro quell’armatura c’è una persona. Dentro la nostra armatura e anche dentro quella dell’altro. Così come dietro la corazza della minaccia, dell’indifferenza, dell’esclusione, dietro tutto ciò che abbiamo perso in questi ultimi anni, dietro tutti i muri difensivi c’è sempre una persona. Fatta di sogni, di incubi, di miraggi, di paure, di speranze e di tutte quelle altre cose insieme che ci rendono umani.
Ho apprezzato molto in te l’aver lasciato aperta la porta del dialogo e del confronto e che ogni essere umano dovrebbe sempre cogliere come opportunità per migliorare se stesso. È un dovere pretendere per noi stessi il diritto alla propria specificità umana, che la situazione contingente cerca continuamente di sottrarci e di zittire. Ed è per questo che noi, come dice il grande Rodari, non dobbiamo mai perdere “la capacità di resistenza e di rivolta; l’intransigenza nel rifiuto del fariseismo, comunque mascherato; la volontà di azione e di dedizione; il coraggio di sognare in grande; la coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto com’era prima; il coraggio di dire no quand’è necessario, anche se dire di sì è più comodo, di non fare come gli altri, anche se per questo bisogna pagare un prezzo”.
Partecipo alla “colletta” morale per il prezzo in corso, con tutte le mie contraddizioni.
Mimino Ligorio