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Vogue giugno 2007: Angelo Filomeno

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By Greg Williams
E’ in una sartoria teatrale di Chelsea che l’artista dà vita alle sue magnifiche ossessioni manipolando sete iridescenti, fili d’oro e d’argento, cascate di cristalli, strass e pietre colorate. Ed è soprattutto con una comunissima macchina per cucire Singer che Angelo Filomeno “disegna” con pazienza calligrafica, e spesso a mano libera, un immaginario simpolico-barocco grondante di dettagli anatomici, vulve, orchidee, schizzi di sangue, teschi, libellule, zampe di gallo, scarafaggi e farfalle. Vita e morte, seduzione e dolore, trasformazioni alchemiche, “ricamano” da sempre il lavoro di questo artista di San Michele Salentino, studi all’accademia di Lecce, attivo a New York dal 1992, che cuce da quando era “in seconda elementare”, e ha imprigionato nel suo mezzo espressivo un’antica tradizione e gli insegnamenti materni.


Le sue visioni, retaggio di un’infanzia segnata dall’improvvisa scomparsa dei genitori, “nascono spesso di sera ascoltando musica dodecafonica, quando l’oscurità porta a confrontarsi con pensieri e incubi”. E proprio su larghe tele di shantung blu notte si stagliano i suoi scheletri ghignanti e perversi, nuovi inquietanti personaggi sospesi in idilliaci paesaggi rinascimentali o luminosissime città contemporanee che ha preparato per il suo debutto in Biennale. “Ti presento il filosofo e sua moglie” dice con un sorriso ironico. E se ti avvicini per osservarli meglio, avverte sibillino: “Stai attenta, sono cattivissimi”. Certo, rimanere sedotti da questi suoi universi splendidi e terrificanti – “del resto”, domanda lui, “il nostro mondo non è così?” – è quasi inevitabile. Ma è un rischio che vale la pena di correre. (abito Comme des Garçons, camicia Valentino, coppa E. Zegna, Fashion editor Robert Rabensteiner)
Grazia D’Annunzio - Vogue - giugno 2007

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