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Uno scempio da arrestare
Caro Lemico, con la prima risposta volevo scuotere il buon senso con questa ho la pretesa di scuotere le coscienze.
La seconda ipotesi la dà lei in: http://carolemico.myblog.it/archive/2009/12/03/io-e-la-mia-terra.htmlin
Il discorso é diverso per una grossa azienda che abbia minimo 50-100 ettari di terra, che si può attrezzare con i macchinari necessari e dove due operai fanno il lavoro che nei piccoli terreni occorrerebbero 20 persone, li ci potrebbe essere qualche guadagno, eppure anche quelli si lamentano.
(la legna dei fichi non è buona nemmeno per il camino). Se avessero sentito questa bestemmia i tuoi nonni!
Riunire i piccoli appezzamenti di terra sotto un unico (coltivatore) come dice lei stesso, per far si che i terreni rendano!
Questo modo di pensare ed agire sarebbe per il bene comune!
Non coltivare, tagliare, bruciare, far marcire è un scempio da arrestare!
Minuziosamente hai decantato l’impossibilità e l’inutilità nel tenere un (tomolo) di terra, persino provato a darlo ad altri, ma questi altri a ragione si rifiutano di addossarsi gli stessi problemi che tu lamenti.
Allora dàllo, deponilo, e come te facciano tutti i piccoli proprietari incapaci a sostenere l’enorme peso del lavoro campestre.
A questo punto forse qualcuno, interessato, coraggioso potrebbe essere tentato, si offrirebbe a dirigere un azienda collettiva.
Invece di crocifiggere i vicini con le lamentele e devastare i campi, con lo sradicare alberi di fichi, far scomparire vigneti rigogliosi, mandorli generosi e oliveti cari ai nostri antenati … auspico che i comuni, di qualsiasi appartenenza politica, intervengano ad espropriare terreni abbandonati, a multare e denunciare il taglio degli alberi senza senso, perché questo agire non rientra nel diritto di proprietà ma nel rispetto del patrimonio comune.
Io sono del parere che possedere un pezzo di terra è una ricchezza di cui vantarsi.
Ai bambini delle scuole elementari bisognerebbe inculcare le bellezze e la poesia del vivere in campagna. Parlare e spiegare i lavori campestri e vantare l’orgoglio dei nostri nonni del vivere dignitoso.
Carissimo Lemico, non ho frainteso affatto il suo pianto disperato, la sua arringa generosa ma come posso affiancarla se così facendo, con i nostri lamenti tutti ci evitano e si convincono di scappare dalle campagne perché come tu dici, le terre portano solo problemi e debiti.
Sono d’accordo, ma non sia questo pretesto a disprezzare e distruggere.
Riconosciamo invece che oggi le cose non vanno come una volta, e allora abbiamo il coraggio di nuove iniziative che valorizzino e non saccheggino l’eredità lasciataci dai nostri antenati.
Ora sotto questa prospettiva domando di nuovo se conviene raccogliere le ulive o starsene comodamente a festeggiare.
I miei nipoti sono propensi ad andare a raccogliersi le benedette olive per fare un olio che tu neanche l’immagini quale bonta`” uno zucchero dotto`” diceva mio padre.
Persino un cognato sugli ottanta, che a rischio della salute tende ad andare in campagna a fare i lavori che devono essere fatti e i familiari stentano a ostacolarlo, a convincerlo. A te, cumba Ci, non gli interessi, i guadagni, le spese, le perdite, ma l’amore, l’affetto per il fondo ti strugge il cuore.
E non parlano delle fatiche, dei geloni alle mani, della stanchezza, solo sussurrano con tenerezza che persino il loro cane Rex viene a dare loro una mano!
Nicola Romanelli