Ero al concerto di torino. Arrivo spaesata, convinta di trovarmi di fronte ad una massa di poco più che ventenni incantati dai Pearl Jam. Non che i poco più che ventenni non abbiano diritto ad amarli, ma ogni fan che si rispetti vorrebbe avere l'esclusiva sul proprio idolo. Vorrebbe essere stato il solo ad averlo conosciuto, scoperto, seguito, amato, capìto. E questa rivendicazione di solito è più marcata nei confronti delle generazioni successive alla propria.
Supero la diffidenza iniziale e mi rendo conto che il pubblico è splendidamente composto dai rappresentanti di varie generazioni. Sarà per la scenografia del palaisozaki (tanti specchi, tanta luce), per l'ovvio entusiasmo che ti inonda quando le luci si abbassano (poco, in verità), sta di fatto che la platea mi sembra bellissima: 12.000 persone che diventano un unico grande spettatore con un solo cuore e una sola voce che intona tutte (ma proprio tutte!) le canzoni.
Confesso che molte di queste non le conoscevo, perchè ho lasciato i Pearl Jam per strada dopo averli visti nel 1996 (novembre, Roma, Palaeur) in un periodo non esaltante della mia vita.
Mi riscaldo quando arriva "do the evolution", e da lì in poi è tutto un salto e un canto!
A fine concerto, mi riconcilio con i Pearl Jam, mi riconcilio con quella parte di me che avevo accantonato dieci anni prima, metto da parte la diffidenza e OSO anche una cosa che mi sembrava ridicola: compro (e indosso) una felpa con l'avocado stampato davanti e dietro.
Anna

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