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Arpino Sante

A nove anni ho cominciato a lavorare trasportando l’acqua alla pompa.

L’anno dopo oltre a trasportare l’acqua agli operai che “pompavano” le vigne ho cominciato anche a zappare, perché prima le vigne si coltivavano solo con la zappa. Allora non ricordo quanto guadagnavo. Mi ricordo però che a nove dieci anni, una conoscente di famiglia convinse mio padre a mandarmi a lavorare alla masseria del “BARCO” a fare i lavori delle donne. Dopo pochi giorni io ero in grado di fare il lavoro senza essere aiutato dalle altre donne. Raccoglievo le fave ed ero in grado di raccogliere la stessa quantità delle donne esperte “portavo due filari di fave come le donne”. Dopo una settimana di lavoro presi 12 lire per sei giorni di lavoro, due lire al giorno. Allora i soldi andavano alla famiglia perché io mangiavo e papà doveva comprare il cibo. Tutti collaboravamo alla famiglia.

A scuola andai tre anni frequentando sempre la prima, al “quarto anno passai all’asilo”.

Andai per due tre anni alla scuola serale e poi scontavo a zappare. Andavo a scuola privata presso la Signorina Epifani che era insegnante di scuola elementare. Poiché non pagavamo ogni mese di scuola mi costava due o tre giorni di lavoro in campagna presso le proprietà della famiglia della maestra, a zappare o ad altro. Altri due anni sono andato dal padre di Nuccio Basile e anche lì era lo stesso chi poteva pagare pagava, chi non pagava scontava con lavori in campagna.

…Ma la licenza elementare non l’ho mai avuta.

Sono nato nel 1927.

Le strade allora erano tutte di brecciolino e c’erano i segni delle ruote dei traini. Il paese finiva dove adesso c’è la prima benzina di Galetta. Dopo iniziava la campagna.

Mi ricordo che il 1935 fu un annata “triste” perchè di quello che si seminò non si raccolse niente.

Allora mio padre con altri partirono col treno per andare verso il Gargano per procurarsi almeno un po’ di fave. Per non pagare il treno alcuni si nascondevano nei bagni dei treni. Tornò con circa 20 Kg di fave che erano piccole e verdi e di scarsa qualità che forse erano destinate agli animali. Ma per quegli anni di scarso raccolto erano buone. Mi ricordo che furono tre anni duri, il ’34 il ’35 ed il ’36.

Poi diventato più grande ho lavorato alla carovana che era una specie di cooperativa alla quale venivano affidati lavori di scarico e carico di tutti i prodotti, tufi, cemento olive fiche ecc. Ogni volta che bisognava scaricare a caricare dei camion ci chiamavano e venivamo pagati in base ai quintali scaricati o caricati. Ho lavorato venti anni a questa attività. Era un lavoro duro ma redditizio. Allora eravamo nove persone e siamo arrivati a dividerci fino a settantacinque mila lire a testa alla settimana. Che equivalevano a circa 5 - 600 mila lire.

La società fu riconosciuta nel 1955 ed è stata attiva fino al 1974 circa. Io ero il più piccolo di età e di statura ma lavoravo più di tutti. Poi qualcuno è morto, qualcun altro a cambiato lavoro e la carovana si è sciolta anche per l’avvento di mezzi moderni di carico e scarico.

D. Da quando hai iniziato a suonare?

Mio fratello stava in guerra (1939), prendo l'organetto di mio fratello. A quei tempi stavamo 7\8 mesi in campagna e 3\4 mesi, d'inverno, in paese. Mio padre mi mandava a casa per fare la guardia, ero piccolo, avevo 7\8 anni.

Come dovevo trascorrere il tempo?

Arrivavo, mi chiudevo in casa e prendevo l'organetto, che era conservato nell'armadio, e ho cominciato a suonare premendo i tasti così per provare. Altre volte, quando restavo in campagna che si usava riunirsi attorno ad un organetto o una fisarmonica, osservavo come i musicisti toccavano i tasti ed i bassi memorizzando le arie. Poi quando stavo da solo in casa ripetevo quello che avevo visto e ascoltato: questa nota no, quest'altra, poi il basso fino a trovare la nota giusta sia del basso che della tastiera.

D .Ma l'organetto è diverso dalla fisarmonica?

E' una cosa straordinaria, mille volte più difficile perché la fisarmonica chiudendo e aprendo il mantice la nota non cambia, invece l'organetto è diverso: chiudendo il mantice hai una nota, aprendolo ottieni un'altra nota. Bisogna trovare la nota adatta per l'entrata e per l'uscita (apertura e chiusura del mantice). Non so come ho fatto ad imparare. Mi ero fatto un nome perché riuscivo a suonare ad orecchio. Mi chiamavano “orecchiabile” (proprio “ricchione”).

Insomma con il passare del tempo ho affinato l'orecchio, imparavo subito.

In sei mesi, ascoltando un po' quello, un po' quell'altro, un po' ricavavo io le note, mettendo tutto assieme (impastando) venivano fuori i pezzi, venivano bene. Non è che avevo un maestro... anzi, io ho imparato gli altri a suonare. La sera mi ritiravo a casa da solo, e poi subito a dormire perché la mattina presto dovevo ritornare in campagna a lavorare.

Quando lavoravo con la “carovana” (la cooperativa di operai trasportatori) gli amici mi dicevano: “be Santù, staser ma sci a do Michel, li ma purteije la sirinet”. Li seguivo (mi mettevano in croce), mi divertivo e mi diverto tutt'ora a suonare, anche se stanco, ero contento. Ritornavo dalle feste alle due – le tre, come mi coricavo i compagni di lavoro bussavano alla porta... “Santù, lu camije ijè rrivet”. “Porco Ddije, mu ma gghi curchet!”. Mi rivestivo e andavo a lavorare. Ho avuto sempre questo “presendiment” (forza di volontà): quando non avevo bevuto o ero sereno “ci sceva scev a fatiè” (potevo anche non andare a lavoro); ma se avevo bevuto e mi ero divertito, non sono mai restato a casa, dicevo a me stesso: “cussì t'imber! Vè fatije”. Non volevo che i famigliari e le persone dicessero: “sé ‘mbriachet e no ssi ijas da lu liett”. Non è successo mai. Altre volte non ci volevo andare a lavoro e non ci sono andato. Ho avuto sempre questo “presendiment”. E se dovevo fare un'ora di lavoro, ne facevo due, proprio per non “dare all'occhio” che ero stanco o avevo bevuto. Tant'è vero che mi chiamavano “lu šcavariedd” (piccolo cavallo) perchè ero il più piccolo di età e di statura. I compagni di lavoro mi dicevano: “Santù, tu a pigghijè cu du sacche a ddè?”. Ho portato sulle spalle sacchi che pesavano un quintale e 60 Kg., li prendevo e li caricavo sul camion salendo la scaletta.

Questi sono fatti veri. La salute mi ha accompagnato sempre, insieme alla volontà.

D. Quando hai comprato il primo organetto?

Era tempo di guerra. Mio fratello ritornò e si riprese il suo organetto. Avevo 20 anni circa... comunque ne ho avuti 7 o 8. Quest'ultimo ce l'ho da 29 anni. Era già usato ma riparato e sistemato. Una sera stavamo in campagna “a lli Patalin”, avevo bevuto un po'... e per la gioia, l'allegria con tutti gli amici “maschel e ffemmen” si ballava fuori, il piazzale era di cemento, presi l'organetto e lo lanciai facendolo scivolare per terra. Non si fece niente, niente... Lo ripresi tra le mani e suonava bene: “...e sciamen...”. Mi piaceva molto la compagnia.

D. A quando risale questa fotografia?

La fotografia è di 25 anni fa.

Era una festa in piazza a San Michele. Doveva essere la festa de “L'Unità” o della Democrazia Cristiana, non ricordo.

Ho suonato a Villa Castelli, alla Selva di Fasano. Tenevamo proprio l'orchestra (il gruppo) e si suonava in giro. Pino Ferruccio, Stefano Bellanova, chitarra, basso, mandolino, Ciccio Mazza di Ceglie, Lino Laveneziana di Ceglie (suonava chitarra e mandolino), Ciccio Petrachi con la moglie che suonava la chitarra. Una volta la moglie di Petrachi mi disse: “Sante, dammi un DO”. Risposi: “ma ce ste discie”; non conosco le note ne la musica. Disse di nuovo lei: “Ma come fai a suonare?”; risposi io: “cu lli tescit!”.

D. Tuo fratello sapeva suonare l'organetto?

Come suonava all'inizio suona adesso. Ancora vive.

Quando è ritornato dalla guerra si è ripreso il suo organetto ed io ne ho comprato un'altro. Non ricordo quanto l'ho pagato...

Poi mi sono fermato un po' di anni quando morì mia figlia di 14 anni. Decisi di non prendere più l'organetto, ma gli amici mi invogliarono “devi suonare”. Si divertivano anche loro.

La passione è stata sempre forte. Anche oggi. Ogni tanto lo suono e le persone mi invitano sempre a suonare.

Abbiamo rivissuto insieme la storia di “Santudd” dagli anni venti ad oggi !

Abbiamo bevuto un po’ di genuinità con Sante e con il suo organetto.

Felici di essere stati testimoni del suo estro e del suo genio Lo salutiamo augurandogli ancora tanti anni di Musica.

Grazie Sante.

A cura dell’Associazione “Movimento Circolare – io ti racconto

con la gentile collaborazione di Valentina Salonna

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